GANDINI: VOGLIAMO FAR CRESCERE IL BASKET

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Manager di altissima caratura nel mondo dello sport e non solo, Umberto Gandini, Presidente della Lega Basket Serie A dal 9 marzo 2020, è una delle figure di riferimento del mondo sportivo italiano e noto ai più per la sua esperienza nel calcio, da Dirigente del Milan dal 1993 al 2016 e poi da Amministratore Delegato della Roma dal 2016 al 2018. Da due anni e mezzo, Gandini ha accettato la sfida lanciatagli dal basket italiano, che lo ha scelto per dare ulteriore lustro ad un movimento in costante ascesa.

Presidente Gandini, lei è passato da un pallone ad un altro come scrive nella sua bio di Instagram: 23 anni di Milan, 2 di Roma e poi in Lega Basket. Ci racconti questo passaggio dal mondo del calcio a quello del basket.

Il mondo del calcio (e della televisione) è quello attorno a cui ho costruito la mia carriera, partendo dalla acquisizione dei diritti sportivi. Con questo avviamento sono poi sono passato al Milan nel quale ho vissuto una straordinaria esperienza, prima di approdare alla Roma nel momento in cui il Milan è stato ceduto da Fininvest. Alla fine del 2019 e inizio 2020 sono stato contattato da alcuni amici che avevano relazioni molto forti nel mondo del basket: la LBA cercava un Presidente e io mi sono detto interessato e reso disponibile a questa nuova sfida. Si trattava di gestire un organismo istituzionale, dopo aver trascorso una vita in un club e questa esperienza mi ha subito coinvolto. Ho cominciato così a confrontarmi con alcuni presidenti, la mia candidatura è stata portata all’attenzione degli altri club, ho incontrato coloro che erano stati incaricati dall’assemblea di Serie A delle consultazioni, cioè Luca Baraldi (CEO della Virtus Segafredo Bologna), Christos Stavropoulos (GM dell’EA7 Emporio Armani Milano) e Stefano Sardara (presidente del Banco di Sardegna Sassari), che hanno convenuto di presentare la mia candidatura alle altre società durante la Final Eight 2020 e alla fine sono stato eletto all’unanimità il 9 marzo 2020.

Quali sono le differenze che ha incontrato tra il lavorare nel mondo del calcio e in quello del basket?

Avendo alle spalle una lunga carriera nel calcio ed essermi interfacciato più volte con la sua Lega di Serie A e conoscendo pertanto le dinamiche di un’associazione di categoria posso affermare che le similitudini sono tante. Si ha la responsabilità di gestire le relazioni con le società che partecipano al campionato, molto diverse tra di loro, date le proprietà, le dimensioni, le strutture e i bacini di riferimento differenti. Tutti hanno una loro particolarità ma insieme rappresentano tutti il campionato di Serie A, con diritti e doveri. Io guido un’associazione di 16 club, ho come interlocutore istituzionale la FIP, organizzo e gestisco il campionato di Serie A su delega della Federazione stessa (dovendo perciò fare il meglio possibile per far sì che le associate siano nelle migliori condizioni per competere). La grande differenza dal calcio resta nelle dimensioni, che possono essere declinate in termini di impianti, fatturato, costi, bacini di utenza. Questo però riguarda tutto lo sport italiano che viene paragonato al calcio di Serie A. Rispetto al calcio, inoltre, il basket di Serie A è meno diffuso geograficamente parlando: vi sono delle grandi aree di concentrazione di squadre con Triveneto, Emilia-Romagna e Lombardia che la fanno da padrone. Ci sono poi dei movimenti regionali importanti che rappresentano realtà di diverse dimensioni, ossia Brindisi, Sassari, Pesaro, Tortona, Napoli e Scafati, riferito al campionato corrente.

Lei ha lavorato con un grande dirigente come Galliani nel Milan. Cosa ha appreso da lui? Se dovesse indicare tre qualità che le ha insegnato, cosa sceglierebbe?

Ho lavorato con Galliani nel Milan, ma prima ancora quando era amministratore delegato di RTI, la società che gestiva le reti televisive del gruppo Fininvest. Era il 1988, lui era già AD del Milan ed è stato grazie alla frequentazione quotidiana che avevamo nel settore televisivo che lui, nel 1993, mi propose di affiancarlo anche al Milan. Da lì quindi ho conosciuto un’altra dimensione della sua carriera, ossia quella da dirigente calcistico. È stata una continua scuola: diciamo che ho fatto le elementari, le medie, il liceo, l’università e i vari master con lui. Ho imparato tantissimo e sono anche sicuro di aver dato tantissimo a lui ed al Milan in termini di lavoro quotidiano, di consigli, di gestione, avendo avuto sempre più spazio da lui nel corso della mia carriera. Dopo pochi anni, Gallini mi ha dato molta fiducia ed una certa indipendenza a livello internazionale, tanto da essere identificato più volte come il ‘Ministro degli Esteri’ di quel Milan, avendo relazioni con UEFA, FIFA e altri club europei e mondiali.

Se dovessi scegliere tre cose che mi ha insegnato Galliani, direi sicuramente la passione e la dedizione per il lavoro e una sana visione all’interno di un percorso fatto di tanto pragmatismo. E’ un grandissimo dirigente, oltre che grande imprenditore nell’amministrare aziende come RTI, Milan e Monza. Questo sempre con un taglio da manager capace di occuparsi di una cosa con responsabilità come se fosse sua: questo è stato il suo grande insegnamento.

Si è insediato come Presidente della Lega Basket il 9 marzo 2020 e poco dopo è scoppiata la pandemia. Come è stato gestire un momento così difficile?

La gestione di questa pandemia è stata un’altra grandissima opportunità di esperienza perché nel mio percorso precedente non avevo grandi frequentazioni con la politica ed i Governi, aspetto che, invece, ho dovuto sviluppare da subito in LBA. Dal momento in cui è cominciato il mio mandato da Presidente, abbiamo sospeso il campionato, che poi due mesi dopo è stato cancellato, e abbiamo dovuto gestire le problematiche conseguenti a questa decisione di chiudere anzitempo la stagione e ragionare su temi come la revisione dei contratti con giocatori e allenatori., sponsor ed emittenti televisive. Poi, cominciando a pianificare la nuova stagione 2020/21, si pensava che tutto sarebbe stato più semplice e invece ci siamo trovati a gestire un campionato a porte chiuse, con protocolli sanitari che cambiavano continuamente, rischi di sospensione del campionato, dialoghi con i ministeri della sanità e dello sport, iniziando al contempo a ragionare sugli aiuti. Insomma, il nostro lavoro è stato simile a quello che hanno dovuto affrontare quotidianamente le aziende in quel periodo, ma con una particolarità: la Serie A di basket, così come il calcio, ha continuato a scendere in campo anche senza pubblico, essendo sport professionistici, ma senza avere le attenzioni che sono state assicurate a moltissimi altri settori del nostro Paese. Quella 2020-21 è stata una stagione davvero difficile con la necessità di sottoporre continuamente le squadre a controlli per verificare che non ci fossero focolai. Ricordo la prima volta che sono intervenuto a rinviare una partita perché una delle due squadre aveva un numero elevato di casi positivi e ho preferito non rischiare che vi fosse un contagio anche nella squadra avversaria. Ecco. questi sono stati momenti in cui non è stato facile spiegare cosa stava succedendo e i motivi di determinate decisioni. Abbiamo disputato un campionato in cui tutte le squadre hanno avuto almeno una sospensione per COVID ma comunque siamo arrivati in porto. Poi nella stagione successiva, quella 2021/22, ci siamo ritrovati in una situazione che inizialmente ci sembrava quasi normale e, invece, abbiamo dovuto gestire una recrudescenza della pandemia, in particolare a cavallo tra il 2021 e 2022 tra interventi indiscriminati delle ASL, necessità di interagire con il Ministero della Sanità per poter avere protocolli applicabili a tutti e lavorando a strettissimo contatto con le altre leghe, in particolare calcio e pallavolo. L’obiettivo comune era quello di portare avanti lo spettacolo sportivo anche durante la pandemia.

Secondo lei, come si può rendere il basket più popolare e più seguito?

Il basket è uno sport molto popolare e fa parte della tradizione del nostro Paese: ha avuto come tutti gli sport periodi di massimo splendore e di minore visibilità. Quando sono stato eletto Presidente il campionato 2019/20 aveva ottimi numeri in termini di affluenza nei palasport (l’occupancy rate era al 72%): due anni di COVID e due campionati a porte chiuse o capienze limitate hanno inferto un colpo pesante alle società. Dover riprendere questo filo è stato sicuramente più difficile, di fatto è da ottobre di quest’anno che abbiamo costantemente il 100% di capienza e riabituare la gente ad entrare nei palazzetti, dopo che per quasi due anni hanno occupato il proprio tempo in un altro modo, non è semplicissimo. Ci sono tantissime sfide, tutto si evolve sulla gestione individuale del tempo libero: nel corso degli ultimi due anni i competitors sono aumentati, considerando tutte le piattaforme di intrattenimento in streaming e in generale il modo in cui si spende il proprio denaro in queste situazioni. Sicuramente, uno degli aspetti su cui stiamo lavorando è allargare il bacino di riferimento, andando a comunicare di più e con linguaggi diversi. Come in tutti gli sport, anche nel basket il pubblico sta invecchiando, soprattutto quello che lo segue in televisione ed è necessario pensare a linguaggi diversi per intercettare le fasce più giovani, che hanno notevole dimestichezza con il nostro sport, ma per i quali il basket è la NBA e i suoi grandissimi personaggi. È importante quindi lo sviluppo sempre maggiore di una comunicazione digitale con i social, l’apertura di nuovi canali (da Instagram a TikTok, passando per Facebook, app e sito della LBA) cercando di spettacolarizzare il più possibile il prodotto basket italiano. Abbiamo tenuto duro in queste ultime due difficili stagioni grazie ai grandi sforzi compiuti dalle 16 squadre che si sono avvicendate nelle ultime stagioni di Serie A: ora dobbiamo puntare ad offrire un prodotto sempre migliore con l’obiettivo di portare sempre più persone nei palasport, creare intrattenimento attorno al basket, rendere sempre più aggregante il suo spettacolo e comunicando fortemente sui social per spingere le nuove generazioni a sperimentarlo dal vivo.

Come vede il binomio TikTok / Highlights nel basket? Vede molta prospettiva con questa piattaforma?

Sicuramente TikTok è una nuova frontiera che stiamo esplorando da poco e da cui vorremmo avere più prodotti live, soprattutto nella presentazione delle partite. Vorremmo quindi raccontare il dietro le quinte di quello che succede nel palasport e negli spogliatoi, ad esempio come i giocatori si preparano alla gara. Il basket ha un grandissimo vantaggio: rispetto a queste giovani community, può contare su fenomeni come lo streetwear, le sneakers, la musica, tutti aspetti su cui lavoriamo per rendere sempre più popolare il basket: tutto questo consapevoli delle limitazioni di cui dobbiamo tenere conto, ad esempio la diversità di capienza dei vari palasport.

Quali sono i suoi progetti e obiettivi per il prossimo triennio?

Dopo l’esperienza della pandemia la priorità del prossimo triennio riguarda la sostenibilità del prodotto basket, che ha indubbiamente costi molto elevati (legati all’ingaggio dei giocatori, come accade anche nel calcio), soprattutto per le squadre impegnate anche nelle competizioni europee. L’obiettivo è quindi cercare una sempre maggiore sostenibilità che non può passare che dal ritorno del pubblico e alla conseguente vendita dei biglietti, dalla fruizione delle partite dal vivo e dai ricavi da sponsorizzazioni, che sono l’anima di questo sport. La Lega Basket è cresciuta in termini di fatturato, sponsorizzazioni, ricavi e diritti televisivi, ma non ancora abbastanza per diventare veramente influente all’interno del tessuto sociale. Ci vorranno anni però questa è la sfida primaria: far diventare la LBA e il basket sempre più rilevanti all’interno del panorama sportivo italiano.

Ultima domanda di rito: quale musica non può mancare dalla sua playlist Spotify?

Sono uno abbastanza poliedrico da questo punto di vista: spazio dai gruppi rock degli anni ’70 e ’80 ai Coldplay, da Bruce Springsteen agli U2 e alla musica funky e R&B. Riguardo alla musica italiana, a parte per una canzone che non posso dimenticare, ossia “I migliori anni della nostra vita” di Renato Zero perché riguarda la mia carriera milanista, poca attenzione se non per i classici della mia adolescenza. Per il resto tanta musica anglo-americana, un po’ di jazz e fusion.

Rubrica iLoby a cura di Christian Gaston Illan e Luca Sardi

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