Raccontaci il tuo primo ricordo calcistico da bambino in Argentina.
“È sicuramente il pallone da calcio che mi ha regalato mia mamma quando avevo 3 anni. Lei mi sgridava sempre perché giravo per tutta la casa con il pallone tra i piedi. Lo avevo sempre con me e ci dormivo perfino insieme.
Da lì si iniziava già a capire questa mia passione.”
Come nasce il soprannome “Pupi”?
“Il soprannome “Pupi” nasce dai 2 allenatori che ho avuto nel Banfield, la mia prima squadra Argentina in serie A. Loro avevano allenato anche mio fratello e lo chiamavano “Pupi”, allora hanno iniziato a chiamare così anche me.”
Come sei arrivato in Italia? Quale è stata la prima impressione del nostro Paese? E cosa rappresenta ora per te l’Italia?
“Sono arrivato in Italia con grande incertezza perché non conoscevo il vostro paese, ma allo stesso tempo era la mia grande chance. Avere questa opportunità era qualcosa di sensazionale ma non so se ero davvero pronto per questa grande sfida di confrontarmi in un campionato così importante ricco di grandi campioni. Mi sono innamorato fin dall’inizio dell’Italia per la cultura, il modo di essere degli italiani
e per il vostro territorio unico. Adesso posso dire che l’Italia è la mia seconda casa.”
Come si diventa leggenda?
“Quando uno inizia a giocare a calcio inizia a sognare e a volte questo si avvera, come militare in serie A e anche con la propria Nazionale. È stato un percorso molto affascinante perché sono arrivato subito in un club già importante come l’Inter. Mi sono subito innamorato dei suoi valori e per questo ho deciso di giocare sempre con questa maglia.”
Leggenda anche fuori dal campo con diversi impegni anche nel sociale. Come e quando nasce la Fondazione Pupi?
“La Fondazione Pupi nasce nel 2001, ma anche prima di quell’anno ogni volta che tornavamo nel nostro paese vedevamo e percepivamo le difficoltà dei bambini argentini.
Parlando con mia moglie Paula e la nostra famiglia abbiamo pensato di aiutarli e ridare al nostro paese quello che aveva dato a noi. Avendo avuto questa opportunità abbiamo iniziato questo progetto e siamo felicissimi ancora oggi dopo 22 anni di continuarlo. Abbiamo aiutati poche persone e adesso ne
stiamo seguendo più di 1000 tra bambini e le loro famiglie.
Siamo molto contenti perché l’intento della fondazione era proprio quello di dare a questi bambini la possibilità di sognare proprio come ho potuto farlo io e offrire loro un futuro migliore.”
Dove opera? Quali sono i vostri progetti realizzati e quelli che state realizzando e programmando?
“Operiamo in Remedios de Escalada, Lanùs, il quartiere dove è nato Maradona, vicino ad una grande favela. Lì abbiamo la nostra sede. Portiamo i bambini a scuola ogni mattina, poi li andiamo a prendere e li riportiamo nella nostra sede. Pranzano insieme e nel pomeriggio fanno tante attività. Dopo li riportiamo a casa. Abbiamo diversi progetti tra i quali la realizzazione di un centro sportivo in Mar De Plata a 500 km da Buenos Aires. Attraverso la salute e lo sport vogliamo dare un futuro a questi ragazzi.”
La gioia e la delusione più grande nella tua carriera da calciatore.
“La mia più grande delusione è stato il Mondiale del 2002 perché l’Argentina era veramente forte ma purtroppo la fortuna non è stata dalla nostra parte.
La gioia più grande invece è la Champions League vinta con l’Inter nel 2010. Avere alzato la Champions da capitano con la maglia dell’Inter dopo 45 anni è stata un’emozione unica ed irripetibile. Eravamo
un gruppo fantastico guidato da un grande condottiero come Josè Mourinho.”
I 5 giocatori più forti con i quali hai giocato nella tua carriera? E con chi avresti voluto giocare?
“Ho giocato con tantissimi campioni ma se ne devo scegliere 5 dico Messi, Ronaldo il fenomeno, Baggio, Batistuta e Caniggia. Avrei voluto giocare con Diego Maradona. Purtroppo l’ho fatto solo durante la sua
partita d’addio alla Bombonera. Sarebbe stato molto affascinante per me.”
Che cosa ha rappresentato per te Maradona?
“Maradona è l’essenza del calcio. Tutti noi argentini siamo nati con il mito di Diego ed il suo modo di interpretare il calcio.”
Javier, puoi condividere con noi il momento più memorabile che hai vissuto con la nazionale argentina e perché è stato così significativo per te?
“Uno dei momenti più belli è stata la mia prima partita con la Selecion. Come dicevo da bambino un mio grande sogno era quello di giocare con la Nazionale Argentina e ci sono riuscito per ben 145 volte.
Un altro momento memorabile è stato ad Atlanta nel 1996 quando siamo arrivati secondi alle Olimpiadi. Per uno sportivo vincere una medaglia olimpica è qualcosa di unico.”
Hai giocato con alcuni dei calciatori più iconici della storia del calcio. Come hai visto l’evoluzione della nazionale argentina nel corso degli anni, e quali sono i principali cambiamenti che hai notato?
“Ho giocato tanto tempo in nazionale. La vittoria del 2022 è stato un motivo di orgoglio e grande soddisfazione. Ho avuto la fortuna di essere lì e di viverlo la vicino. Penso che l’Argentina in questo momento sia la squadra più forte e lo sta dimostrando in questi ultimi anni.”
Qual è il tuo punto di vista sulla situazione attuale della nazionale argentina? Quali sono le chiavi per
il successo nel calcio internazionale, specialmente alla luce dei recenti risultati?
“La chiave del successo è stato creare un gruppo molto compatto ed unito. Questo si sente e si trasmette molto. Tutti ci tengono e si sentono importanti per la Nazionale. È qualcosa di molto bello e soddisfacente.”
Com’è stato smettere come calciatore e quali sono, se ci sono state, le difficoltà che hai incontrato a livello personale dopo gli anni sul campo?
“Mi sento molto soddisfatto perché ho avuto una carriera lunga in cui ho dato tutto quello che potevo fino a 41 anni. Ho intrapreso una carriera da dirigente che mi piace molto e per la quale mi sono preparato molto. Ho intrapreso alla all’Università Bocconi di Milano un percorso di formazione manageriale. Non voglio essere un dirigente solamente legato alla parte sportiva ma avere una visione molto ampia e rendermi utile nel mio club nelle diverse aree che ha. Mi sento una risorsa molto importante per l’Inter e questo per me ha moltissimo valore.”
Non solo sportivo ma anche imprenditore. Raccontaci come nasce l ’idea di intraprendere l’attività nel mondo della ristorazione e quali sono le tue attività a Milano.
“Abbiamo aperto il primo ristorante “El Gaucho” nel 2003. Volevamo un punto di incontro per tutti gli argentini presenti a Milano e anche far assaggiare agli italiani la nostra cucina. Abbiamo avuto un grandissimo riscontro. Quando si entra al Gaucho si respira un clima famigliare. Poi abbiamo aperto il Botinero che si trova in zona Brera. Qui non si mangia solo carne ma anche pasta e pesce. Abbiamo
ottenuto anche qui un ottimo successo. Per ultimo abbiamo aperto “El Patio de Gaucho” all’interno dell’Hotel Sheraton di Milano in zona San Siro. L’hotel Sheraton voleva inserire un ristorante argentino
all’interno del proprio hotel, così ci siamo parlati ed accordati. È molto comodo cenare qui dopo le partite dell’Inter perché si trova a 5 minuti dallo stadio di San Siro.”
Quest’anno hai compiuto 50 anni. Come ti vedi nei prossimi 15?
“I 50 anni sono un altro grande traguardo per me. Nei prossimi 15 anni mi vedo sempre molto attivo e dietro a tanti progetti, anche con l’Inter, dando sempre un contributo importante per la squadra che scende in campo e verso tutti quelli che lavorano fuori. Mi auguro anche che il mio Paese, l’Argentina, possa migliorare.”
Classica domanda di rito: 5 brani della tua playlist di Spotify
“Più bella cosa” di Eros Ramazzotti
“Gli ostacoli del cuore” di Ligabue ed Elisa
“Astros” di Ciro y Los Persas
“Al lado del camino” di Fito Paez
e certamente
“Pazza Inter”
Rubrica iLoby a cura di Christian Gaston Illan e Luca Sardi