ALESSANDRO MARIA FERRERI “THE STYLE GATE”

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Raccontaci un po’ di te e come nasce la tua passione per la moda

Sono appassionato da sempre di moda e costume. Fin da piccolo, quando accompagnavo mia mamma ai suoi fitting di Alta Moda dai vari couturiers romani o parigini, ero affascinato dalle sale immacolate, dalle sarte silenziose e professionalissime, ma soprattutto dalla venerazione quasi religiosa per lo stilista che compariva e scompariva in maniera quasi impercettibile e faceva avverare i sogni delle sue clienti con due colpi di forbice e 4 spilli. Era come assistere alla creazione di un’opera d’arte. Non è dunque una sorpresa che, quando da giovane laureando in ingegneria (ben 25 anni fa) dovevo decidere l’oggetto della mia tesi di laurea, abbia contattato Massimo e Alberta Ferretti per i quali ho poi sviluppato il software che i modellisti hanno incominciato ad utilizzare per creare i cartamodelli a cad: 25 anni fa era cosa da veri pionieri. E lì è cominciata una carriera nel lusso che ancora oggi continua a gonfie vele.

Parlaci di The Style Gate: come è nata e a chi si rivolge

The Style Gate nasce a ottobre 2015 quando, stanco di lavorare come big boss nel mondo corporate del lusso, capisco che avrei potuto fare meglio e con più incisività agendo da advisor. Ho sempre avuto competenze che non si fermavano alla pura strategia ma che sono molto tecniche e operative: questo mi ha permesso di implementare nella mia nuova avventura di The Style Gate, sia una parte più teorica, diagnostica e organizzativa, sia una parte più pratica, hands on ed efficace.

The Style Gate è quindi divenuta nel tempo molto famosa e riconosciuta per uno stile di advisory molto operativo, che sa perfettamente dialogare sia con la parte di stile, creatività e branding, quanto con la parte commerciale, di supply chain e logistica. Il tutto sempre applicando, ad ogni anello della catena del valore di un prodotto di lusso, le necessarie competenze, linguaggi specifici e, ovviamente, savoir faire

Qual è stato il segreto del tuo successo in questo ambito?

Ho un network di contatti praticamente infinito, con eccellente credibilità come persona e come manager: chiunque decido o ho bisogno di contattare, a prescindere dalla sua posizione o status sociale, raramente mi risponde facendo passare più di due squilli. Segno che il mio nome rappresenta per tantissimi grande rispetto, alta professionalità e solidissima integrità. È molto facile presentare un biglietto da visita dove prima del tuo nome c’è un marchio conosciuto che praticamente garantisce per te. Chi si presenta con un biglietto da visita targato Vuitton o Fendi, Dior o Hermes, di solito non ha problemi a farsi ascoltare, non grazie a qualità personali, ma soprattutto in primis per l’azienda che rappresenta. Provate voi a stampare solo il vostro nome sul biglietto da visita, ma continuare ad essere ricevuto dalla Presidente di Net-a-Porter o dal Presidente di Saks 5th Ave: vi assicuro che non è banale.

Qual è il lavoro del “mentore”?

Adoro essere mentore. Mi capita ogni giorno in due ambiti ben distinti: da un lato, come fondatore e Ambassador del Fashion Trust della Camera Nazionale della Moda, ho il preciso ruolo di selezionare e aiutare a far crescere i nuovi talenti del panorama italiano della moda; dall’altro come responsabile di una cattedra al master Mib dell’università Cattolica di Milano, ho il compito di seguire come Tutor e come Field Coach i giovani laureandi che saranno un giorno grandi managers nel lusso. In entrambi i casi, il risultato è molto appagante perché avere un mentore è ciò che più mi sarebbe piaciuto avere nella vita: grazie alla sua presenza si evitano tanti sbagli, si guadagna molto tempo prezioso, si è più attenti agli ostacoli e più sicuri nel prendere decisioni e direzioni di carriera. Senza? Diventa tutto più lento, oneroso e pericoloso. Ma in fondo anche cosi ci si fa le ossa.

Come instaura il rapporto con il cliente?

Anche per i clienti finisco per essere un mentore. Il ruolo dell’advisor è molto delicato perché ha un ambito pubblico ed un ambito privato. Quello pubblico è rappresentato dal dialogo giornaliero con il management aziendale, con i mal di testa legati all’operatività, al calendario serrato, ai costanti problemi con il budget di spesa, gli intoppi produttivi e all’immancabile sfortuna. L’altro lato, quello privato, riguarda il rapporto personale con l’imprenditore, con il Ceo, con il Direttore Creativo o con la proprietà: in quell’ambito si affrontano anche temi relativi alla leadership, allo stress da prestazione da parte della dirigenza, all’inquetudine e l’incertezza date dai repentini cambiamenti del mercato e dei consumatori. Lì, devo dire, do il meglio di me, in quanto non solo riesco a dare dei consigli efficaci ma anche molto pratici e di buon senso. L’imprenditore, che con la sua azienda ha un rapporto anche molto emotivo e di parte, apprezza quando qualcuno da fuori dimostra lo stesso suo rispetto e attaccamento.

Un messaggio da dare alle nuove generazioni nella gestione impresa a 360 gradi?

La prima cosa da fare è una bella analisi di competitor profiling e di market positioning. Molti problemi iniziano sempre da un’errata percezione del proprio target di consumatore e ancora peggio da una falsa valutazione di chi sia il nostro diretto competitor. Vedo giornalmente aziende che, pur con fatturati molto alti, si sono quasi immobilizzati e non crescono più perché non si sono evoluti con il loro consumatore di riferimento o, peggio ancora, continuano a servire un consumatore che solo nella loro testa è quello ideale, perdendo enormi opportunità e potenziale.
Come è cambiato il modo di concepire e vivere il lusso post pandemia per il consumatore e a quali aspetti deve ben tener presente un’azienda che fa lusso?

Che il consumatore sia diventato il centro di tutto il sistema del lusso, è innegabile. Il designer non detta più legge né il direttore creativo impone un trend: il consumatore decide cosa vuole, decide quando la vuole, decide a che prezzo è disposto a pagarla e spesso decide anche quando è ora di licenziare un Ceo o un direttore Creativo. Il consumatore è ormai schizofrenico, con bassissima possibilità di poterlo fidelizzare, con grande conoscenza trasversale del prodotto e dell’offerta dei vari marchi e con un gusto molto ben definito, originale e proprio. Spesso nei negozi off line i sales assistants non sono lì per suggerire e aiutare il cliente nella scelta, quanto per soddisfare una precisa domanda legata ad un post su Instagram o alla foto di una celebrity sul red carpet. 

Il vero problema, nonché grande interrogativo, è che cosa sia veramente oggi il lusso. Ognuno ha la sua propria definizione, ma ogni volta tale definizione è lacunosa o trascura degli aspetti. Io mi sono fatto una mia idea che credo sia tanto teorica quanto ahimè molto veritiera: se puoi fare a meno di un oggetto di lusso pur potendotelo permettere allora quello è VERO LUSSO. Se non ne puoi fare a meno, non è più Lusso ma diventa un BISOGNO. Chi aspetta per un anno una Birkin di Hermes non esprime lusso, pur potendola pagare e pur considerando un prodotto Hermes come esclusivo, di altissimo livello artigianale, costosissimo e di status. Se ti chiamano dal negozio offrendoti una birkin appena arrivata e tu la rifiuti ed esci con la carta di credito nella tasca dei bermuda, quello è un gesto di lusso: perché uno status ti appartiene senza che tu dipenda da esso.

Qualche progetto futuro che puoi svelarci

Due bellissimi: uno con un lungimirante e sveglissimo imprenditore rumeno del bespoke da uomo: veste con i suoi abiti sartoriali ma coloratissimi, tutte le celebrities di Hollywood, da Jason Statham a Pierce Brosnan, da Alessandro del Piero a Tom Cruise. L’altro progetto è legato ad un lavoro con le ambasciate estere sul suolo italiano, che desiderano promuovere i designers della loro patria nel Calendario delle Collezioni Milanesi o presso gli imprenditori italiani: io faccio una selezione, una due diligence ed un percorso di coaching e tutoring per i giovani talenti al di fuori dei nostri confini che sognano il mondo della moda italiano, il tutto con l’aiuto strategico, economico e diplomatico delle loro ambasciate di riferimento. 
Classica domanda di rito: 5 brani della sua playlist di Spotify

Love is in the air – John Paul Young

Could it be Magic – Barry Manilov

Venus – Bananarama

One night in Bangkok – Murray Head

Writings on the wall – Sam Smith

Rubrica iLoby a cura di Christian Gaston Illan, e Luca Sardi

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